Storia S. Patrona

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S. BARBARA

  (estratto da un discorso del Gen. Massimo Iacopi, pronunciato in occasione di una ricorrenza del 4 dicembre)


Tutte le società, ieri come oggi, specie nei momenti di inquietudine e di disorientamento morale, hanno bisogno di riferirsi al passato nella ricerca di modelli attuali e vivi ai quali riferirsi e soprattutto di speranze rinnovatrici e trasformatrici per riscoprire il senso della vita.

In tale contesto soffermare la nostra attenzione sulla figura della nostra Patrona non è solo un atto di ossequio alla tradizione o il semplice atto di chiederLe protezione: oggi, forse più che nel passato, il suo esempio costituisce un riferimento prezioso, direi quasi un'esigenza di vita.
Poco importa se diverse e contraddittorie leggende, in epoche diverse, hanno generato qualche confusione ed hanno reso enigmatico un riferimento inequivoco alla Sua persona fisica, ma quello che conta è che la figura di S. Barbara, ad oltre duemila anni dai fatti, è ancora capace di evocare valori e speranze per tutti noi, additandoci contro ogni pericolo, il coraggio e la forza della fede.
Per tracciare un breve profilo biografico, farò riferimento alla "Leggenda Aurea" di Iacopo da Varazze (Varagine), Arcivescovo di GENOVA dal 1292  al 1298. Nel manoscritto si legge che "Fu martirizzata la Beata Barbera (leggi Barbara)…. a dì quattro del mese di dicembre, regnante Massimiano Imperatore ed essendo Preside Marziano o Marciano……". Lo stesso documento ci narra che Barbara di Diòscoro, originaria intorno al 273 di Nicomedia o Eliopoli, l'attuale Izmit in Bitinia, regione storica dell'odierna Turchia, a seguito di un tragico dissidio fra il padre, fanatico, pagano, potente cortigiano dell'Imperatore e la figlia, votata alla religione di Cristo, venne denunciata presso il Giudice - Governatore Marciano perché sprezzante del paganesimo. 
Rinchiusa in una fortezza (torre) e sottoposta ad atroci torture e feroci supplizi (con l'uso del ferro e col fuoco), la vergine di Nicomedia non abiura alla sua fede e dopo un tentativo andato a vuoto di giustiziarla sul rogo (che misteriosamente non si accende e non arde), viene decapitata con la spada per mano dello stesso padre, sconvolto dall'ira, e questi é sua volta carbonizzato da un fulmine scagliato dalla giustizia divina, al ritorno dall'esecuzione (altre versioni riportano che il genitore sprofondò, venendo inghiottito dalla terra).
Sin qui la leggenda ed anche la confusione, dal momento che più di un luogo in Italia rivendica la conservazione delle reliquie della Vergine, fra questi: PIACENZA, in una cappella votiva di S. Sisto, provenienti dall'antica Numanzia in Sabina; BURANO, nell'altare della Chiesa di S. Martino, ivi deposte nel 1009, provenienti da Costantinopoli; RIETI dal 1275 nella Chiesa cattedrale; per non parlare poi di BABILONIA d'EGITTO e di tanti altri luoghi. S. Barbara è inoltre Patrona di Montecatini in Toscana fin dall'alto medioevo ed il suo culto sembrerebbe riferirsi all'arrivo nella località, in epoca imprecisata, di una importante reliquia della martire (teschio, privo di mandibola) con il suo prezioso reliquiario. 
I riferimenti storici relativi alla reliquia sono purtroppo andati perduti con la distruzione degli archivi e del Castello di Montecatini Alto effettuata nel 1554 per ordine di Cosimo dei Medici. Sta di fatto che in ogni caso che nella raccolta di reliquie della Chiesa Primaziale di Pisa si trova un osso mandibolare che dovrebbe provenire dallo stesso teschio di Montecatini. Sembra infatti che Montecatini abbia ceduto a Pisa, al tempo di Uguccione della Faggiola una parte della reliquia della Santa, a testimonianza dei buoni rapporti esistenti allora fra le due località.
Circa il fatto che città italiane detengano reliquie di Santi provenienti da fuori, specie dall'Oriente, la cosa si spiega con i rilevanti rapporti politici e commerciali riallacciati nel corso dell'Alto medioevo con il Mediterraneo orientale e mantenuti e rinforzati successivamente dalle Repubbliche marinare. In tale epoca, guerrieri, mercanti e banchieri facevano a gara per riportare nelle loro città, oltre che i prodotti dell'Oriente, anche i corpi dei martiri e dei santi, di cui vi era ricchezza in quelle terre, sia per onorarli degnamente nelle loro cattedrali, sia per ricordo delle proprie gesta. Fra le tante imprese basta ricordare il trafugamento, dalla Turchia a Bari, del corpo del Vescovo di Myra/Demre, San Nicola che darà origine al culto di S. Nicola di Bari.
Ma la confusione deriva soprattutto dal fatto che il nome di Barbara, derivante dal latino Barbarus e dal greco Barbaros, vuol dire "sconosciuto, straniero, ignorato" e pertanto non è escluso che vergini martiri con il nome di Barbara, cioè ignota, ce ne devono essere state molte durante le persecuzioni dei Cristiani.

 

 


 


 

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Per quanto attiene al culto si sa per certo che esso ha radici molto profonde e che risale almeno alla seconda metà del 3° secolo dopo Cristo. In tale periodo S. Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli, scrisse la "Laudatio Sanctae Barbarae". Per quanto riguarda più specificamente gli Artiglieri, si ha notizia che nel 1423 un non meglio specificato "Magister Bombardorum" (Ufficiale di Artiglieria "ante litteram"), davanti al pericolo di scoppio delle prime rudimentali bombarde, solesse invocare la protezione di S. Barbara, prescrivendo inoltre che si facesse il segno della croce prima del caricamento della bocca da fuoco.
Comunque sin dal 1529 Barbara venne scelta come Patrona degli Artiglieri, proprio perché la Santa aveva domato il fuoco del rogo e perché lo stesso fuoco, sotto forma di fulmine, aveva colpito il padre omicida. Ma già in precedenza Barbara era venerata presso Russi, Greci e Latini quale protettrice delle opere fortificate e delle torri (a ricordo della sua prigionia in una torre). Col tempo divenne poi la Protettrice di tutti quelli che avevano a che fare con il fuoco o con il pericolo in generale derivante dal fulmine, tanto che il Papa Pio XII°, il 4 dicembre 1951, l'ha proclamata Patrona degli Artiglieridei Marinai (che chiamano S. Barbara il deposito munizioni delle navi), dei Genieri, degli Artificieri e dei Vigili del Fuoco
Rivolgersi a S. Barbara significa dunque per gli Artiglieri scongiurare tutti i pericoli connessi con la loro professione ovvero con il fuoco dei nostri cannoni e con il maneggio delle munizioni.
I nostri antenati nella Specialità solevano ripetere con orgoglio la frase: "con fiamme e fuoco l'artiglieria sbaraglia, strugge, rompe, fracassa, urta e rovina" per sottolineare la potenza del mezzo che utilizzavano e, proprio perché consci dei pericoli connessi con il fuoco dei cannoni e con il maneggio delle munizioni, si rivolgevano a S. Barbara, per chiederne protezione.
Nel tempo insigni pittori italiani (Raffaello, Palma il Vecchio, Tintoretto, il Procaccino, il Botticelli, il Francia, il Domenichino, il Vivarini) e scultori (Bernini, Luca della Robbia, ecc.) e stranieri hanno immortalato in immagini diverse S, Barbara, per lo più ritratta o scolpita con una torre o con un ramo di palma, o con a fianco una bombarda o una spada. Il suo ritratto più famoso, e tra noi più conosciuto, è quello attribuito a Palma il Vecchio che si conserva a Venezia nella Chiesa di S. Maria Formosa.
La suggestione del culto di Santa Barbara, poco importa se nata dal mito, dalla fantasia, dalla leggenda o dalle tradizioni, simboleggia ancora oggi una validissima figura di donna, che ha saputo lottare con forza e determinazione, senza cedere né a lusinghe, né a minacce, per il trionfo delle proprie convinzioni. Pertanto essa idealizza per tutti noi la forza inarrestabile della FEDE, accostata nell'iconografia ad:

  • una TORRE, solida e forte, che non crolla davanti alle difficoltà della vita;

  • una PALMA, simbolo di sacrificio ma anche di vittoria;

  • un CANNONE, simbolo della FIAMMA, ardente di FUOCO e di PASSIONE, che scaturisce dalle proprie profonde convinzioni, che, in ultima analisi, rappresentano il CORAGGIO e la SPERANZA per chi crede in quel che fà ed è disposto a sacrificarsi per quello in cui crede.

In definitiva la figura di S. Barbara, con l'esempio del suo sacrificio, rappresenta un vero e proprio monumento per tutti quelli che lottano per far trionfare la:

  • FEDE contro il dubbio e l'errore;

  • SPERANZA contro la disperazione;

  • CARITA' contro l'odio


e si propone perciò come riferimento per l'ordinaria condotta della nostra vita, modello cui ispirarci per un impegno più forte e per una autentica crescita morale e spirituale, modello di grande forza d'animo, di perseveranza e di fiero eroismo.

Domandiamoci allora quanto siamo lontani dall'insegnamento che ci viene dalla nostra Patrona:

  • nella vita di ogni giorno e nei quotidiani adempimenti cui siamo chiamati dalla scelta di vita che abbiamo intrapreso;

  • nei momenti in cui le esigenze e le situazioni vogliono da noi qualcosa di più qualificato e dove la nostra professionalità diventa pagante per noi stessi, indipendentemente dalla causa che l'ha messa in moto;

  • nei momenti, perché no, dell'eroismo, quando muoversi vuol dire andare contro corrente, quando non agire diventa tradimento di valori, quando esporsi ed assumersi le proprie responsabilità comporta rischio e sofferenza, mentre sarebbe assai più facile crearsi un alibi comodo e rassicurante.

In conclusione, guardare ai grandi modelli della vita, ai santi Patroni, a Santa Barbara per noi Artiglieri è come guardarsi allo specchio:

  • o l'immagine che vediamo riflessa ci gratifica e proseguiamo soddisfatti sulla nostra via;

  • oppure l'immagine evidenzia le nostre lacune ed allora non ci resta che impegnarci a far meglio ed a fare seri e nuovi propositi di bene per l'avvenire.


 

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I militari, sebbene più volte ingiustamente posti nell'oblio nelle società occidentali per posizione "manichee" di comodo o puramente "ideologiche" non sono, per la loro professione, in contraddizione con la sua figura della Santa Patrona. Il militare, infatti, con le sue idealità e per la sua disponibilità al sacrificio a favore della collettività, solo in apparenza potrebbe risultare non in armonia con S. Barbara e con gli insegnamenti del Vangelo.
 

Dal Vangelo secondo Luca XI, versetti 21/22, leggiamo infatti: "Quando un uomo forte e ben armato fa la guardia alla sua casa tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa le armi nelle quali confidava e ne distribuisce il bottino".
Dal che si può dedurre:
- 1°, che le armi e la difesa sono una necessità ed una realtà ineluttabile di tutte le società;
- 2°, che le armi non sono comunque la soluzione definitiva ed assoluta dei problemi sociali;
- 3°, che rimanere indifesi non è comunque conveniente, poiché il mondo è purtroppo composto, oltre che da "sognatori" che non leggono o non ricordano gli insegnamenti della Storia, anche da "prepotenti".
D'altronde i Romani molto giustamente ripetevano "Si vis pacem, para bellum"!! Anche Gesù Cristo, nel riferirsi al militare di carriera, disse al centurione romano che ciò che lo aveva salvato non era la sua professione ma la profonda fede che lo animava, nell'ottica cristiana che non è il mestiere che condiziona la salvezza dell'uomo ma la fede e lo spirito con cui opera.
Per quanto precede i militari, per quanto possa ad alcuni apparire contraddittorio, sono i difensori della pace e come gli altri la cercano e la desiderano proprio perché conoscono da vicino le miserie che una guerra porta con sé: ma volere la pace non significa necessariamente disarmarsi (specie unilateralmente !!!) e non significa accettare una "pace qualsiasi" a "qualsiasi prezzo", come oggi molti predicano, perché non esiste vera pace senza libertà, senza dignità e soprattutto senza giustizia.
In tale contesto mi sembra anche giusto ricordare per quanto riguarda l'Italia il riferimento all'articolo 52 della Costituzione Repubblicana, fondamento della professione del militare italiano, che recita: "La Difesa della Patria è sacro dovere del cittadino". Questo assioma, forse non ancora pienamente recepito dalla coscienza civica, sancisce due fatti incontestabilmente fondamentali e cioè che:

  • La difesa della Patria è un dovere generalizzato di tutti i cittadini e non esclusivo dei militari;

  • L'Italia, se costretta, usa la forza per una giusta causa e cioè per difendere i propri diritti ed i propri interessi vitali e quindi per legittima difesa.

Quale più nobile motivazione poteva essere posta a fondamento del servizio militare di una Nazione?.

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