Scavi di Ercolano

Scritto da Massimo Iacopi



                            SCAVI DI ERCOLANO

 

Gli scavi di Ercolano ebbero un inizio fortuito nel 1711,quando il principe austriaco d’Elboeuf, utilizzando un pozzo per l’acqua dietro la Chiesa di S. Giacomo, s’imbattè nella scena del teatro e ne asportò le statue e gli elementi decorativi marmorei. Tuttavia ,solo alcuni decenni dopo, nel 1738, per volere di Carlo di Borbone, ebbe inizio un programma esplorativo dell’antica città sotto la direzione dell’ingegnere militare Roque Joachim de Alubierre, assistito prima dall’architetto Karl Weber e poi da Francesco La Vega. In questa 1^ fase degli scavi di Ercolano l’intervento fu effettuato mediante cunicoli che scendevano anche fino a venti metri di profondità, sfondando la massa compatta di fango , cenere e materiali vulcanici vari espulsi nell’eruzione del 79 d.C. Con questo sistema,che riduceva l’antica città alla stregua di una miniera,si raggiunsero complessi monumentali di grande importanza,quali la cosiddetta Basilica,e nel 1750 la suburbana Villa dei Papiri, asportandone i preziosi  apparati decorativi e scoprendo in una piccola stanza un’intera biblioteca,composta per la gran parte da papiri greci. Nel 1675,tuttavia,gli scavi vennero interrotti sia per il loro costo e pericolosità, sia per i gravi danni arrecati dalle continue perforazioni alle fondazioni delle case dell’abitato di Resina, sorta sull’antica Ercolano. Solo nel 1828,ad opera dell’architetto C. Bonucci, si ritentò l’impresa ercolanese e, abbandonando l’ormai superato ed anacronistico scavo mediante cunicoli, si applicò la metodologia  dello scavo a cielo aperto,iniziando questa nuova e più scientifica fase delle ricerche dalla Fattoria Bisogno, lungo vico mare. Gli scavi diretti a partire dal 1869 da Giuseppe Fiorelli, proseguirono con alterne vicende, riportando,riportando alla luce tutta l’area gravitante intorno al Cardo III inferiore,fino al 1875, quando si interruppero nuovamente a causa dell’oggettiva vastità dell’impresa, che prevedeva la rimozione di imponenti masse di materiale vulcanico. Solo nel 1927, di fronte al continuo espandersi dell’abitato di Resina, che minacciava di coprire totalmente Ercolano, si prese finalmente l’ardua decisione di riaprire gli scavi, affidandoli all’archeologo Amedeo Maturi.
In una prima fase degli scavi,tra il 1927 ed il 1939,venne messa in luce l’area meridionale della città, comprendente quattro “insulae” ed un impianto termale. Si raggiunse inoltre a sud l’antico litorale,mentre a nord ci si dovette bloccare lungo il “Decumanus Maximus” al limite ormai del moderno abitato. La parte scavata della città, seppur di modeste proporzioni rispetto a Pompei,mostrò subito l’eleganza delle abitazioni e la raffinatezza degli apparati decorativi.
In seguito agli eventi bellici gli scavi vennero interrotti;ripresi dal 1951 al 1957, portarono alla luce il complesso delle Terme Suburbane sull’antica marina e, solo parzialmente, la Palestra. Succeduto Alfonso De’ Franciscis al Maiuri, si riuscì tra il 1961 ed il 1970 a liberare un altro breve tratto del Decumano Massimo,con la scoperta del Collegio degli Augustali, ed a mettere in luce un tratto del portico della Palestra. Dal 1980 gli sforzi si concentrarono sul fronte a mare dove, abbassando il livello di scavo fino al piano di calpestio antico,è stata rinvenuta l’antica spiaggia con 12 fornici utilizzati, almeno in parte, come depositi per barche e pescatori. All’interno dei fornici ed al di fuori di essi vennero alla luce, insieme a numerosi oggetti preziosi quali anelli, bracciali e orecchini, alcune centinaia di scheletri di ercolanesi in disperata fuga verso il mare, fornendo la più drammatica testimonianza dell’eruzione del 79 d.C.

 

 


 

 

Storia della città
 Al contrario di Pompei,la piccola parte riportata alla luce di Ercolano non ci permette di conoscere le dimensioni della città. Possiamo solo ipotizzare che Ercolano, sulla base delle notizie riportate da Sisenna, fu edificata su un promontorio di non grandi dimensioni,affacciato sul mare e delimitato da due piccoli corsi d’acqua. La sua fondazione veniva collegata ad Eracle, che di ritorno dall’Iberia, avrebbe costeggiato le coste della Campania (Dionigi di Alicarnasso). Tuttavia possiamo ritenere che la città abbia avuto una origine indigena per poi passare nell’orbita di influenza greca e successivamente nel V secolo sannitica. In epoca romana Ercolano, ribellatasi a Roma durante la Guerra Sociale, fu assalita e conquistata nell’89 d.C. da Titius Didius, legato di Silla, e, perduta l’autonomia politica, fu trasformata in municipio. La città, fortemente danneggiata come la vicina Pompei dal terremoto del 62, fu coperta per una altezza di circa 20 metri dai flussi piroclastici dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

 

 


 

Struttura urbana
 Le mura urbane a scarpata,costruite in opera a sacco con grossi ciottoli di pietra, del II sec. a. C., sono visibili solo sotto la casa dell’albergo, allestita sopra un bastione sporgente. Questo si trova vicino all’attuale accesso degli scavi, da dove si possono vedere anche due gocciolatoi e la cornice superiore a gola dritta della mura a destra del bastione. Il resto di questo tratto di muro bastionato sul mare è rivestito dell’ “opus reticulatum” delle case, costruitevi sopra nell’età imperiale, quando ormai le mura non servivano più. Spesse 2-3 m, esse rivestono il ciglio del promontorio di Ercolano (alto 10,40 m) che qui cala a picco, per difendere la città lato mare. L’impianto stradale, di tipo ortogonale, con i decumani disposti parallelamente alla costa, è organizzato in questo quartiere in modo che al termine di ogni cardine corrisponde una stretta rampa con porta ad arco nella cinta muraria, per cui ogni cardine ha un suo sbocco al mare.

 

 


 

 

Strade e fogne
 Ercolano era attraversata, come oggi, dalla via litoranea che da Neapolis portava, via Oplontis, a Pompei e Stabia. Le strade cittadine, tracciate secondo un progetto urbanistico di stampo greco, con incroci ad angolo retto (detto ippodameo dal nome di Ippodamo di Mileto che lo attuò nella sua città natale nella prima metà del V sec a.C.), furono pavimentate con poligoni di lava solo in età augustea: il cardo V risulta ripavimentato con calcare bianco davanti alla Palestra. Metae di macine furono riusate come paracarri. Nella parte scavata della città le strade, ad eccezione del decumano inferiore, appaiono poco consumate dalle ruote dei carri che evidentemente non circolavano in tale quartiere, poco agibile per i passaggi angusti e ripidi verso il mare. Tali sbocchi per quanto praticabili solo dai muli e dai pedoni, erano di primaria importanza perché porto e mare costituivano risorse vitali per la città. Il trasporto delle merci era affidato a mulattieri o facchini.
Le facciate delle case sono spesso precedute da portici con colonne di laterizi poggiate sull’orlo del marciapiede: in molti casi aggiunte dopo il 62 d.C. esse, forse, sono spiegabili come espediente antisismico per consolidare i ballatoi e i balconi dei piani superiori. (Seneca: Questiones Naturales,VI  1,1-2).
Solo il cardo III è attraversato da una fogna, destinata a smaltire le acque del Foro, che raccoglieva l’acqua piovana defluita lungo i cardini del quartiere (non scavato). Le case prospicienti il cardo III scaricavano le acque di impluvi, cucine, latrine e mezzanini in questa fogna. Altrove gli scarichi avvenivano sul basolato della strada, come a Pompei (le latrine erano munite di pozzi assorbenti).
I pozzi raggiungevano l’acqua sotterranea già a 8-10 m di profondità (a Pompei solo a m 30). E’ questa una delle ragioni per cui l’impianto tradizionale della casa fu abbandonato più presto a Ercolano.
L’acquedotto del Serino, di età augustea, risolse anche qui i problemi dell’approvviginamento idrico. Come a Pompei, molti tubi di piombo sono stati tolti all’atto dello scavo borbonico.
 
 

 
Edifici principali
 Casa dell’albergo (Insula II)
L’abitazione con un doppio ingresso si estende per una gran parte dell’ ”Insula III”,,rivelandosi una delle più signorili case ercolanesi affacciate sulla marina. L’edificio, identificato in passato erroneamente come un albergo, non si presenta del tutto leggibile a causa degli scavi per cunicoli di epoca borbonica. Possiamo tuttavia riconoscere le seguenti parti:
1- l’atrio con sulla destra l’unico impianto termale privato, con affreschi in II stile,rinvenuto all’interno di una abitazione ercolanese;
2- il peristilio con un giardino realizzato ad un livello più basso rispetto al piano del porticato;
3- una grande terrazza rettangolare con porticato formato da pilastri rettangolari;
4- gli ambienti del piano sottostante solo parzialmente scavati e realizzati sul pendio del promontorio.
 
Casa d’Argo (Insula II).
L’abitazione prende il nome da un quadro con “Io ed Argo” rinvenuto in un ambiente affacciato sul peristilio,il cui porticato presenta colonne e semicolonne su pilastro, realizzate in tufo e mattoni, ricoperte di stucco. La scoperta della Casa d’Argo da parte dell’archeologo Carlo Bonucci tra il 1828 ed il 1830 destò notevole interesse,in quanto per la prima volta ritornava alla luce il piano superiore di una abitazione, che si estendeva mediante una balconata sul marciapiede del Cardo III con la suppellettile domestica ed i commestibili ancora al loro posto in mobili e scaffali di legno.
 
Casa del Genio
Così chiamata per un amorino alato o genietto che decorava un candelabro di marmo. A lato dell’ingresso si aprono alcuni ambienti,che precedono un giardino con vasca rettangolare al centro,circondato da un vasto peristilio. Da questi ambienti è possibile vedere il sistema degli scavi a pozzo e cunicoli adottato nel 1700 dai Borboni.
 
Casa dello Scheletro (Insula III )
Prese il nome dal rinvenimento effettuato nel 1831 in una stanza del piano superiore di uno scheletro con vicino un vaso di bronzo. La casa, probabilmente nata dalla unione di tre abitazioni, rivela per raffinatezza dei pavimenti in "opus sectile" marmoreo e della decorazione pittorica di aver avuto un agiato proprietario. Sul lato sinistro dell’atrio sono due piccoli ninfei, realizzati con incrostazioni calcaree e tessere in pasta vitrea.
 
Terme Centrali o del Foro ( Insula VI )
Gran parte dell’Insula VI è occupata da un impianto termale, risalente agli inizi del I secolo d.C., suddiviso in reparto maschile e femminile; sulla sinistra è un ambiente circolare con volte dipinte con un fondo marino popolato di pesci e vasca con gradino (frigidarium), sulla destra sono il "tepidarium ed il calidarium. Il reparto femminile, preceduto da una sala di attesa, presenta in successione l’ "apodyterium", con elegante mosaico raffigurante Tritone, il tepidarium, il calidarium con vasca per immersioni.
In particolare la costruzione delle terme, come quella di tutti gli altri edifici pubblici noti ad Ercolano, risale all’epoca giulio-claudia. Le facciate lungo il cardo IV e il decumano inferiore sono in opus reticulatum, i rimanenti muri perimetrali e le volte in opus incertum di tufo giallo. Il sistema simmetrico delle sezioni maschile e femminile ripete, con qualche ritocco e correzione, lo schema un po’ più ridotto e meno organico delle Terme del Foro a Pompei. L’ingresso dal cardo IV al reparto femminile, non così vasto come quello maschile, ma  è decorato con cura. Si entra subito nella sala di attesa con sedili in muratura addossati alle pareti, per una capienza di 40-50 persone. Il mosaico bianconero dall’altro lato del corridoio, nell’apodyterium, provvisto di mensole per il deposito dei vestiti, raffigura un Tritone con timone sulla spalla sinistra, tra fauna marina e un amorino con frusta. L’abile mosaicista, qui all’opera, sarà stato coadiuvato da un aiutante, responsabile della brutta copia di questo Tritone nel tepidarium maschile, nell’altra parte dei bagni. Le lumeggiature sul corpo del Tritone, e le code a spirali, scaturiscono da una visione naturalistica, che traspare anche dai dipinti contemporanei di quarto stile. Il mosaico nell’attiguo tepidarium raffigura una rete di meandri e quadrati, tutti con un motivo diverso: tridente, foglia d’edera, girandola, falli contro il malocchio nella zona vicino alle porte. Il riscaldamento avveniva mediante l’uso di bracieri. Il calidarium presenta invece le solite suspensurae per la circolazione del fumo caldo, attivata da canne fumarie fredde contigue anche alla palestra. La vasca per immersioni, attigua al praefurnium, comunica mediante un canale scoperto (lungo la parete di fondo) con il labrum, che stava nella nicchia dalla parte opposta della sala. Le fistule furono asportate dagli scavatori borbonici. Come nelle altre sale termali, la volta è rivestita di un’efficace strigilatura che canalizza l’acqua di condensa. Per la visita del reparto maschile bisogna girare l’insula, imboccando il cardo III. Accanto all’ingresso si apre con entrata indipendente l’anticamera della latrina, pulita con l’acqua di spurgo defluita per una conduttura di piombo dal retrostante frigidarium. Entriamo nell’area balneare per la porta in fondo a sinistra del corridoio lasciandoci alle spalle il portico. La vasca nella nicchia dell’apodyterium, alimentata dalla conduttura pubblica, e la vicina vaschetta sistemata nell’angolo in fondo a sinistra servivano per le abluzioni preliminari. Di qui passiamo al frigidarium circolare a pareti rosse, con candelabri e vasi agonistici e quattro nicchie gialle sotto la cupola a fondo azzurro con pesci. La vasca doveva rispecchiare,quand’era piena,i pesci dipinti sulla cupola. Il pavimento del tepidarium, sorretto da suspensurae, è mosaicato con la brutta copia del Tritone raffigurato nell’apodyterium femminile, raffigura un anello, dal quale pendono un aryballos (vasetto globulare per unguenti profumati) e due strigili (strumenti per detergersi dopo gli esercizi ginnici). Alle spalle dei caldaria sono il praefurnium e il pozzo, che con il sistema della ruota idraulica attingeva l’acqua a 8,25 m. di profondità. L’ingresso posteriore dello stabilimento dava anche accesso alle scale dell’appartamento degli addetti al servizio,diviso ugualmente in due settori.
 
Collegio degli Augustali ( Insula VI )
L’edificio, sede degli Augustali che avevano il compito di curare il culto per l’imperatore, presenta una pianta quasi quadrata con quattro colonne centrali. Al centro della parete di fondo vi è una cella con pavimento in "opus sectile" marmoreo ed affreschi del IV stile con i due grandi quadri raffiguranti "Ercole, Giunone e Minerva" e "Ercole e Acheloo". A destra della cella è ricavato uno stanzino dove era il custode, il cui corpo fu trovato disteso sul letto.
 
Casa del salone nero (Insula VI)
Casa di L. Venidius Ennychus, agiato liberto di modeste origini, o gestita da questi per il patrono. Sul suo conto ci informa l’archivio di venti tavolette cerate recuperate in un ambiente rustico del quartiere dell’atrio relative alla sua eleggibilità augustale, che qualcuno aveva messo in dubbio. La casa che conserva tuttora gli stipiti e l’architrave di legno del portale carbonizzati, è la classica domus con vestibolo, atrio ad alae, tablino e peristilio. Le colonne del peristilio sono disposte in modo tale da favorire la vista del giardino dalle stanze contermini. Il salone “Nero” in fondo a destra del peristilio, è dipinto in un tipico quarto stile molto raffinato, ripreso nelle due “diaetae” a volticina tra piattabande minuscole; tutti questi ambienti sono pavimentati a mosaico bianco. Il peristilio invece un pavimento a mosaico nero. Da vedere sono inoltre il sacello in legno dei Lari a capitelli corinzi di marmo e il trapezoforo con Dioniso giovane di marmo rosso, esposti nel salone nero, e l’altro trapezoforo, con un Dioniso arcaizzante nella “diaeta”. In una semicolonna del peristilio, vicino al tablino venne graffito il prezzo dello spurgo di un pozzo nero: exemta ste(r)cora a(ssibus) XI.
 
Casa di Nettuno ed Anfitrite, bottega vinaria ( Insula V )
Accanto alle lussuose dimore patrizie, non meno belle e di più intima umanità, sebbene più semplici, sono le case del ceto borghese che, a volte arricchitosi con l’esercizio del commercio, non abbandona la bottega associata alla stessa abitazione, come nella casa di Nettuno ed Anfitrite. La bellezza dell’interno, la grandiosità dell’atrio, la ricchezza di alcuni ambienti, rivelano il gusto raffinato del suo proprietario. La parte più interessante di questa casa è senz’altro costituita dal cortiletto interno che reca nelle pareti una decorazione musiva molto bella e di vivace effetto cromatico, raro esempio dell’arte musiva parietale, assai diffusa nell’antichità, ma completamente perduta. Al centro si trova un triclinio in muratura rivestito di marmo. La parte di fondo reca un nifeo, formato da una nicchia centrale e due nicchiette rettangolari laterali; sopra la zona delle nicchie è sistemato il serbatoio che alimentava la fontana, posta in mezzo ai banconi del triclinio. Eleganti tralci di vite che sorgono dal basso decorano gli stipiti delle nicchie, mentre festoni di foglie e frutta, scene di caccia con cervi e cani ornano il fregio. La cornice che corre in alto, riproduce le maschere di Oceanus e di Chimere, circondate da fiori. Nella parete di fronte all’ingresso della casa si distende, invece un grande quadro musivo, dove sono rappresentati, entro un padiglioncino a conchiglia, l’uno accanto all’altra, Nettuno e Anfitrite. La posa statuaria e l’accademica compostezza delle figure sono ravvivate dall’eccezionale policromia del mosaico, ricco di freschezza e di vivacità. Siamo di fronte ad uno schema architettonico tipico dei grandi ninfei delle ville marittime imperiali e private. Oltre al cortile, sul fondo dell’atrio, si trovano il tablinum ed una sala da ricevimento o da pranzo. Al di sopra era il piano superiore, le cui stanze sono visibili dalla strada, essendo crollato il muro di prospetto in seguito al terremoto che accompagnò l’eruzione o all’urto provocato dal fiume di fango. Dello stesso proprietario dell’abitazione è la bottega vinaria, la più conservata con tutto l’arredo intatto.
 
Casa del Gran Portale ( Insula V )
Così chiamata per il portale a semicolonne,piattabanda e cornicione a mensole di laterizi,sicuramente il più bello che ci abbiano restituito gli scavi di Ercolano, fiancheggiato da semicolonne di laterizi, originariamente stuccate e dipinte in rosso e sormontate da capitelli in travertino ornati dalle figure di vittorie alate. La casa presenta una pianta anomala, inserita com’è nello spazio ricavato dal peristilio ceduto dagli abitanti della casa Sannitica con reimpiego delle colonne scanalate di tufo nell’ampio vano che apre dietro le fauci. Il cortiletto subito a sinistra dell’ingresso doveva servire da pozzo di luce, raccogliere l’acqua piovana e creare l’illusione di uno spazio verde mediante la pittura di giardino estesa su due pareti. Le pitture di VI stile sono di estrema finezza. Il triclinio presenta un quadro raffigurante una scena dionisiaca della quale non si conoscono ora le repliche, con il vecchio Sileno seduto con due satiri, che osserva la coppia di Arianna e Dioniso, giovane nudo imberbe, ai piedi di una colonna con divinità.
 
La Palestra e la sala absidata
Sorta su un ampliamento dell’area urbana appositamente livellato,la palestra di Ercolano (scavata su tre lati) risulta di un terzo più piccola della Palestra grande di Pompei. L’ingresso del vestibolo monumentale è evidenziato da due colonne. Frammenti della volta crollata (ora depositati nella sala a destra della sala centrale absidata) ne mostrano la decorazione a cielo stellato. L’area scoperta della Palestra, alberata con piscina, era circondata da un quadriportico con colonnato corinzio e dalla parte del decumanus maximus, dal criptoportico con loggia soprastante. Il centro della piscina cruciforme era marcato da una fontana di bronzo a forma di Idra a cinque teste, avvinghiata a un albero: si tratta del noto mostro combattuto da Eracle, mitico fondatore di Ercolano. Il vivaio di pesi rettangolare, con anfore (per la deposizione delle uova) incassate nei lati, trovato ricolmo di scarichi anteriori al 79 d.C., fu abolito dopo la chiusura della parete a semicolonne del criptoportico. La sala centrale absidata, alta m. 8,90 e preceduta da un colonnato, rialzato di più di un metro in funzione dell’ingresso monumentale a timpano,aveva il pavimento e lo zoccolo rivestiti di marmi colorati; il podio nell’abside era destinato a una o più statue colossali di culto o onorarie. Esse non sono state recuperate, ma dovevano raffigurare membri della famiglia imperiale giulio-claudia, della cui protezione godeva l’associazione dei giovani che si allenavano nella palestra. L’unico oggetto rinvenuto in questa sala è il tavolo di marmo, usato per il culto o come mensa agonistica per le premiazioni a conclusione dei ludi ginnici menzionati nella dedica dell’ara funeraria di M. Nonius Balbus. Le sale laterali, dipinte a fondo bianco lucente, offrono uno dei migliori esempi di affreschi in terzo stile.
 
Casa del rilievo di Telefo (Insula orientale)
E’ la più grande e lussuosa delle case del quartiere meridionale ed anche la più singolare per la pianta fortemente obliqua resasi necessaria per adattare la costruzione all’irregolarità del terreno. L’atrio di forma inconsueta e più vicino agli schemi dell'architettura ellenistica, è circondato da un portico con in alto le stanze del piano superiore e al centro una vasca quadrangolare dagli alti bordi in luogo dell’impluvio. Le pareti e le colonne recano una decorazione su fondo rosso ed un gruppo di oscilla marmorei, raffiguranti temi dionisiaci e teatrali. Da questo settore della casa un corridoio in discesa conduce al lussuoso quartiere del piano sottostante, orientato obliquamente rispetto al primo. Qui il peristilio a colonne in laterizio circonda un ampio giardino, che ha nel mezzo una vasca rivestita d’intonaco a fondo azzurro. Sul peristilio si aprono stanze che potevano essere da pranzo, da ricevimento o da riposo: di queste la più ampia e più bella è quella che si orna di una decorazione marmorea di eccezionale bellezza. La sala conserva il rivestimento dello zoccolo, dove pannelli orizzontali e verticali sono alternati a lastre di cipollino (africano), circondati da fasce e interrotti da piccoli pilastri di colonne con capitelli corinzi. L’uso di marmi colorati, la ricchezza della decorazione, l’eleganza dei motivi architettonici e geometrici dimostrano lo stato di particolare agiatezza e il gusto raffinato del proprietario della casa che doveva essere adorna di numerose altre opere travolte e disperse dalla furia dell’alluvione. In un piccolo ambiente adiacente al sontuoso salone fu rinvenuto un rilievo d’arte neoattica dove è rappresentato il mito di Telefo (figlio di Eracle ed eroe eponimo di Ercolano), da cui il nome della casa. Ugualmente pregevoli sono i due rilievi con quadrighe trasportati dalla fiumana fangosa da un altro edificio e ricomposti da numerosi frammenti. Essi sono esposti nell’atrio della casa e simboleggiano l’avvicendarsi del giorno e della notte nelle personificazioni di Phosphoros ed Hesperos su quadriga. La casa che nella forma attuale risale all’età augustea, fu ampiamente restaurata dopo il terremoto del 62 d.C.; fu allora che venne costruito il pluteo con incavo per piante sull’impluvio di marmo dell’atrio; un atrio concepito come una specie di peristilio per le colonne che sorreggono non i quattro spioventi, ma le stanze del piano superiore, come in alcune case ellenistiche della Grecia (Delo).
 
Casa dei Cervi ( Insula IV )
Tra le più eleganti abitazioni del fronte a mare presentava il giardino decorato dalle famose sculture marmoree del Satiro con otre, dell’Ercole ebbro e dai gruppi di cervi assaliti dai cani. Il giardino,con ingresso sormontato da un frontone decorato da un mosaico con tiaso di amorini, risulta delimitato da un quadriportico affrescato con sistemi decorativi architettonici ed oltre 60 quadretti raffiguranti scene di Amorini, nature morte e paesaggi architettonici,in parte staccati in epoca borbonica. Il lato affacciato sul mare presenta una pergola con al centro una "trapeza" marmorea.
 
 

 
 
 
 
 
ALTRI EDIFICI
Casa Sannitica (Insula V )
Così chiamata poiché più di ogni altra conserva la tipica struttura dell’abitazione sannitica ed il suo impianto è databile al II sec. a.C. La casa presenta un ingresso decorato con affreschi del I stile ad imitazione di marmi policromi ed un atrio dotato di un elegante loggiato con colonne ioniche e transenna rivestita di stucco. A destra dell’ingresso c’è uno dei rari ambienti affrescati in fine monocromia verde con al centro il quadretto con il “Ratto d’Europa”. Intorno alla prima metà del I sec. d.C. ne furono distaccati il giardino, accessibile dalla casa rustica e la casa del gran portale. La vicenda della casa rispecchia la fortuna calante, nell’età imperiale, della popolazione indigena di Ercolano. Il nome della famiglia è forse deducibile dal graffito osco, letto: vel (vestibolo) “Spunes Lopi”.
 
Casa del bel cortile (Insula V )
Nonostante sia piccola, questa casa è una delle più interessanti dell’edilizia privata. Il cortile al posto dell’atrio, costituisce la parte più architettonicamente singolare: pieno di luce e di colore, è ornato da un fine pavimento a mosaico decorato con croci uncinate disposte a riquadri. Da esso, una scala, munita di pluteo e ballatoio, conduce al piano superiore. Nel salone a pianoterra è stato raccolto il materiale di maggiore interesse rinvenuto negli scavi: monete, statuine di culto, vasellame di bronzo, vetro e terrecotte, piccole sculture marmoree. In sostanza è una casa ricavata da un edificio precedente e la sua ristrutturazione risale all’epoca claudia, quando i pavimenti del tablino e cortile furono mosaicati ed una stanza ridipinta in terzo stile.
 
Villa dei Papiri
 
Localizzata a 20-25 m di profondità in un’area a nord-ovest degli attuali scavi, la villa si trova tuttora sepolta sotto due strati pietrificati, il primo formatosi dopo l’alluvione fangosa del 79 d.C. ed il secondo per effetto della colata lavica del 1631. Essa fu esplorata per cunicoli negli anni 1750-1761, quando fervevano a Portici i lavori per la sistemazione della Villa Reale (iniziata nel 1738), compreso il costituendo Herulanense Museum,”museo senza pari in Europa per le rarità e la copia di esse …..” per volere dello stesso Carlo III. Dopo varie vicissitudini, statue, papiri e pitture provenienti dalla villa sono ora esposti in una nuova sezione del Museo Nazionale di Napoli. L’importanza della villa, la cui fronte misura oltre 250 m, sta, sia nel complesso unitario e organico della collezione di sculture (58 di bronzo e 21 di marmo) ivi trovate, sia nella biblioteca di 1785 papiri dissotterrati e portati alla luce a partire dal 19 0ttobre 1752. I papiri contengono testi filosofici, quasi tutti scritti in greco (l’epicureo Filodemo di Gadara è l’autore della maggior parte di essi), alcuni di essi in latino (tra i quali un componimento poetico sulle battaglie navali di Azio e di Alessandria tra Ottaviano, Antonio e Cleopatra; il De Bello Actiaco). Come tutte le ville vesuviane danneggiate dal sisma del 62 d.C. la villa era in fase di restauro al momento dell’eruzione del 79: un cumulo di calce e frammenti di colore (turchino e rosso) testimoniano i lavori edilizi e di decorazione in corso. Molte sculture erano smontate e rimosse dal loro posto; la biblioteca era imballata in cinque punti diversi e i volumi fasciati in scorza d’albero e chiusi in casse. L’atrio aveva conservato l’originaria decorazione parietale e pavimentale di secondo stile; il reparto balneare, gli ambienti vicini intorno all’atrio e l’esedra sul giardino nord-ovest presentavano una decorazione del quarto stile, probabilmente successiva al terremoto. Il fango rovente, causa delle violente avvampature sull’intonaco giallo dell’atrio e dell’ambiente nell’angolo ovest del piccolo peristilio,avrà contribuito senz’altro alla cabinizzazione dei papiri. E’ arduo pronunciarsi sulla committenza e proprietà della villa. Collegando il nome di Filodemo con il programma scultoreo, busti di filosofi, oratori, poeti e condottieri ellenistici, supposti ritratti di famiglia, statue di atleti, figure mitologiche ecc., si è pensato come proprietario a L. Calpurnius Piso Caesoninus, console del 58 a.C., i cui stretti legami con Filodemo sono attestati da Cicerone nell’orazione “ In Pisonem” o al di lui figlio L. Calpurnius Piso Pontifex, console del 13 a.C.. Ma i loro nomi non compaiono nel materiale epigrafico rinvenuto, per cui sembra più probabile attribuire la proprietà a quell’Appius Claudius Pulchercognato di Lucullo, al quale gli ercolanesi dedicarono una statua post mortem nel teatro. Pulcher noto filelleno era un personaggio prestigioso: ideatore dei piccoli Propilei di Eleusi e console nel 38 a.C., la sua cronologia coincide con la fase delle pitture di secondo stile dell’atrio e dei mosaici policromi della villa. A sud est dell’atrio c’è il quartiere rustico, disposto intorno ad un giardino con giare, alle quali un canaletto in muratura portava acqua. L’impianto della villa, con il quartiere dell’atrio cinto da un portico che si spinge nell’area di un giardino è molto simile agli impianti della villa dei Misteri e della villa di Oplontis. La presenza di armi e di un mucchio di grano, nonché di masserizie e lucerne, indica che la villa non era poi così abbandonata come si pensa di solito. Vicino all’atrio fu scoperto un orologio solare bronzeo intarsiato d’argento, con segnati i nomi dei mesi Iulius e Augustus (quest’ultimo introdotto nel calendario nell’ 8 a.C., in sostituzione del vecchio Sextilis).